Racconto e ricordi della mia vita.

Forlì: 13 dicembre 2004. Ho appena terminato di leggere “La ragazza delle arance” di Jostein Gaarder, una storia commovente ricca di amore e sentimenti. Leggendola mi è venuto in mente di scrivere qualcosa sulla mia vita. Penso che ogni persona ha storie vissute da raccontare, belle o meno belle, interessanti o curiose, tristi o allegre, e che sia piacevole scriverle per se stessi, per la propria compagna della vita, per i propri figli e nipoti, e perché no, per gli amici e anche persone sconosciute. Ogni storia di vita vissuta è un romanzo, un romanzo vero.

Sono ormai prossimo ai sessanta anni. Ipotizzando una prospettiva di vita di ottanta anni, i tre quarti della vita li ho già trascorsi. Se uno alla mia età non trova nulla di curioso o interessante da raccontare della propria vita vissuta temo che abbia vissuto inutilmente. Si nasce per vivere e si rischia di morire senza aver vissuto. Ho già scritto alcune cose di me e, soprattutto, della mia famiglia in “Storia e storie della famiglia Raineri”. Ho terminato di scrivere da poco “Le stagioni della vita…e il tempo della pensione”, dove si possono trovare alcune mie considerazioni sul senso e mistero della vita che ho paragonato ad un grande gioco della “lotteria”. Gaarder nel suo romanzo parla della vita come “un’unica grande favola che nessuno sa cos’è”.

Sono nato il 3 luglio 1946 in un paesino distante quindici chilometri da Forlì, “Fratta Terme”, nel comune di “Bertinoro”. Ultimo di sei figli. Una sorella di nome Bruna che non ho conosciuto perché morta all’età di sei anni nel 1942, quattro anni prima della mia nascita. Mia mamma era convinta che il buon Dio gliela avrebbe restituita. Ma il grande gioco della vita non prevede questa possibilità. Sono nato io, un maschietto. Delusa, ha comunque voluto chiamarmi Bruno. Peccato! E pensare che al cinquanta per cento poteva nascere una femmina e far felice mia mamma. Mia mamma è uscita dal gioco della vita l’anno scorso, il 28 settembre 2003. Ho voluto ricordarla in “Sei la Mamma più bella del mondo - In ricordo di mia Mamma”. Mio babbo è ancora in vita. Due anni più giovane di mia mamma, gode, in generale, di ottima salute. Le gambe faticano a reggerlo, l’udito si è ridotto di molto (ma nutro qualche dubbio sul molto! A volte interviene inaspettatamente alle chiacchiere dei presenti) e la testa funziona solo quando vuole lui. Teme la morte come pochi al mondo e dice rosari dalla mattina alla sera (anche dalla sera alla mattina). Suo unico passatempo, oltre il rosario: rompermi le “balle” per problemi banali ed inesistenti che comunque, se esistenti, potrebbero compromettere il suo stato di benessere. Tutto il contrario di mia mamma che non si è mai lamentata per tutta la vita. Ma Lei non conosceva l’egoismo. Così, al momento, mi trovo con la mamma morta all’età di novantatre anni e mezzo e il babbo novantadue anni e mezzo, in vita. A questo punto, all’ipotetico lettore di questa mio racconto non gli venga in mente di pensare, come a volte mi viene detto: “beato te che hai i genitori longevi. Chissà quanto vivrai!”. Divento una bestia. Le ragioni di questo mio andare in collera verranno capite più avanti. A questo punto del racconto risulta che ad una figlia di questi genitori geneticamente longevi è stato concesso di partecipare a questo gioco della vita, a questa favola, per soli sei anni.

Nel 1948 la famiglia si trasferisce a Forlì, la mia città. Attorno il 1950 mio padre acquista una casa in viale Fulcieri (oggi n° 64) dove abita tuttora e dove ho abitato fino all’anno in cui mi sono sposato (in verità per alcuni mesi oltre!). Perché racconto questi particolari? Ritengo di essere portatore di un primato singolare: forse non esiste al mondo animale più stanziale di me (oltre i miei familiari). In “Storia e storie della famiglia Raineri” ho scritto che: ”Scoprire che discendo da un certo Crescenzio, vissuto attorno al 1000 e Conte del Castello di Bleda, una località distante circa 50 Km da Forlì dove io vivo, mi sconcerta un pochino: in 1000 anni mi sono spostato di soli 50 Km dal luogo delle mie origini…”. Non solo, nell’ambito della città di Forlì ho sempre abitato a pochissima distanza dalla casa paterna. Attualmente abito a poche centinaia di metri. Posso definirmi un romagnolo D.O.C. I miei figli non possono vantare questo primato perché il padre di mia moglie è di origine molisana.

Della mia infanzia, fanciullezza e adolescenza non ho cose curiose o interessanti meritevoli di essere raccontate. Non sono stato particolarmente interessato allo studio fino a quando non ho fatto un incontro determinante per la mia vita, avvenuto all’età di diciotto anni. Credo, anzi, di avere avuto uno sviluppo intellettivo lento e un poco tardivo. Il ricordo di questa mia difficoltà scolastica ha influenzato il mio modo di intendere il lavoro che ho scelto di fare poi: ironia della sorte, l’insegnante. Ho sempre avuto particolare attenzione nei confronti degli studenti in difficoltà, sia reali, sia dovute a semplice svogliatezza nello studio. A questi ho cercato di incutere fiducia e di dare aiuto nel superare le difficoltà scolastiche.

Devo riconoscere che negli anni delle scuole superiori (ho frequentato l’Istituto Tecnico Industriale semplicemente perché a quel tempo, fine anni cinquanta, andava per la maggiore e, sinceramente, perché non ero adatto per gli studi liceali), ero preso da tutt’altri interessi: gli amici, il divertimento e le prime esperienze con le ragazzine. Facevo parte di una compagnia formata da numerosi ragazzi e ragazze che condividevano gran parte del loro tempo libero. Un gruppo di questi amici fondò un complesso musicale per partecipare al “Festival degli studenti”, una manifestazione musicale che per anni, negli anni sessanta, si è tenuta nella mia città. Un carissimo amico, con innate doti musicali, chitarrista solista e d’accompagnamento molto bravo, mi insegnò i principali accordi e così incominciai ad esercitarmi con la chitarra, sia d’accompagnamento che chitarra basso. Sprovvisto di doti musicali e di orecchio per la musica, quel poco che riuscii a fare l’ottenni con la sola grande volontà. L’esercizio per la chitarra richiedeva tempo, e tempo per lo studio scolastico non c’era. Ricordo un anno scolastico tragico: gli amici più stretti, componenti del complesso, tutti bocciati a giugno. Solo io riuscii ad andare ad ottobre con quattro materie (allora si parlava di ottobre). Mi salvai a stento. Il complesso si chiamava “Blue boys” [APRI]. Eravamo i più conosciuti nell’ambito cittadino per aver vinto alcuni festival, certamente non per merito mio, il più scarso del gruppo ed entrato a farne parte in un secondo tempo in seguito alla chiamata alle armi del bassista ufficiale. Non è falsa modestia. Ero proprio scarsino. Ai festival si poteva partecipare con sole canzoni proprie e i componenti dei complessi partecipanti essere studenti delle scuole locali. La scuola andava male, i festival a gonfie vele e quando passeggiavamo lungo il corso della città, le famose “vasche”, eravamo conosciuti da un gran numero di ragazzine. Per noi il bilancio era positivo. I miei amici più stretti di allora si chiamavano entrambi “Giorgio”, il chitarrista e il batterista. Quest'ultimo il "bello" del gruppo e il più corteggiato dalle ragazzine. Molto bravo alla batteria e dotato anche di bella voce.

Ho ricordato questi due carissimi amici perché testimoni dell’incontro più importante della mia vita.
Siamo nel mese di novembre del 1965, a spasso lungo il Corso della Repubblica della città, direzione verso la piazza Saffi. Io in mezzo ai due amici. Incrociamo all’altezza della farmacia Cagli (nota del 2009: oggi trasferitasi in altro luogo) una ragazzina che conoscevo appena di vista. Indossava un cappotto nero con uno "spompaccino" di pelo bianco sul bavero [APRI], procedeva a testa bassa sfiorando il muro dei palazzi. Evidenziava una palese timidezza. Lei non alzò minimamente lo sguardo verso noi tre. Avvertii una grande emozione alla sua vista ed un tonfo al cuore. Il famoso “colpo di fulmine”. Un viso dolcissimo in un corpo magrissimo (ho sempre avuto un debole per la magrezza). Mi rivolsi ai miei amici dicendo:”Se riesco a conoscere quella ragazza, lei sarà la mamma dei miei figli”. Ovviamente seguirono da parte loro una scarica di battute di ogni tipo. La più ripetuta: “…non dire patacate!”. Il tempo di slegare qualche debole legame sentimentale con un’altra ragazzina e di rivolgere, tramite un amico comune, un invito ad una delle solite feste pomeridiane domenicali, che allora si organizzavano a rotazione nelle nostre abitazioni, normalmente nei garage o scantinati (non esistevano le discoteche), a chi ormai era il mio chiodo fisso . E’ inutile dilungarmi. Lei si chiama Marina, ha un anno meno di me, da allora abbiamo condiviso il nostro tempo e fatto progetti comuni. Ci siamo sposati l’11 novembre 1972, mentre facevo il servizio militare di leva (spiegherò perché ci siamo sposati in quel periodo. Merita di essere raccontato!), abbiamo due figli, Carlo nato il 24 gennaio 1974 e Luca nato il 2 giugno 1978. Proprio il mese scorso abbiamo festeggiato il nostro trentaduesimo anniversario di matrimonio e i trentanove anni dal nostro incontro.

A questo punto del mio racconto desidero ancora ricordare i miei due amici, Giorgio e Giorgio. Quante cose abbiamo fatto insieme! Quanti ricordi! Poi per loro il grande gioco della vita ha riservato una fine triste, ingiusta. Nei primi anni ottanta, all’età di circa trentasei anni, prima il chitarrista, poi l’anno successivo il batterista, sono morti dopo mesi e mesi di sofferenze. Ancora oggi penso ai miei amici. E mi accorgo di pensarli sempre più spesso con il passare del tempo. La vecchiaia!?!.

Tanto avrei da raccontare dal momento in cui ho conosciuto Marina. Merita di essere ricordata la mia “attraversata del deserto”. Sicuramente Marina si era posta una regola a me tenuta segreta. Per poco meno di due anni, e sono tanti mesi, nei nostri incontri intimi, mi era permesso solo di abbracciarla e baciarla. Niente di più. Un morire, un tormento che aumentava sempre più con il passare dei mesi. Cercavo di giocare tutte le mie carte in ogni occasione per interrompere questo calvario. La fine dell’attraversata del deserto avvenne nei mesi estivi del 1966, in una delle nostre uscite con la mia cinquecento. Il luogo, ovviamente indimenticabile, il prato perimetrale del Castello di Monte Poggiolo, a pochi chilometri da Forlì. L’ipotetico lettore dirà a questo punto: “chi se ne frega!”. L’ho voluto ricordare solo come testimonianza storica. Oggi non credo si verifichino situazioni del genere nei giovani. Forse anche allora. Comunque toccò a me! Ancora oggi, di tanto in tanto, le rinfaccio questa penitenza. Ma rifarei lo stesso percorso.

Marina è stata determinante nel cambiamento del mio carattere, dei miei interessi e del rapporto con gli studi. Dall’incontro con Marina le cose sono andate sempre meglio. L’esame di stato, allora con tutte le materie compresa ginnastica, segnò il mio primo significativo successo. Il percorso universitario fu poi brillantissimo. Da perito elettrotecnico passai agli studi di Scienze naturali, corso di laurea in Geologia presso l’Università di Bologna. Corso di studi non difficile allora, comunque conclusosi con il massimo dei voti compresa la lode. Mi appassionai molto alla geologia. Mi sentivo portato per questa materia scientifica. Ero intenzionato a fare il ricercatore universitario. Appena laureato vinsi anche una borsa di studio proprio presso la facoltà di Scienze Geologiche di Bologna. Il lavoro di ricercatore per quella borsa era urgente. Dovevo essere libero da obblighi che potevano ritardare l’inizio della ricerca (individuazione di zone a minor rischio sismico per l’installazione di centrali nucleari. Ancora doveva esplodere la contestazione al nucleare e il referendum fu fatto negli anni successivi). La chiamata alle armi mi costrinse a rinunciare alla borsa di studi (potevo anche tenermela, era nel mio diritto), dietro promessa verbale da parte del direttore della facoltà di un’altra borsa a conclusione del servizio militare.

Il servizio militare. Altra storia curiosa da raccontare. Vigeva la legge del terzo fratello: su tre fratelli, il terzo era esonerato dal servizio di leva se i primi due avevano adempiuto all’obbligo. Quando accompagnai il mio secondo fratello, Franco, alla stazione di Cesena, in partenza con un amico per il corso ufficiali di complemento presso la caserma di Ascoli Piceno, lo salutai con il gesto del “il mio nonno l’ombrello lo portava qui!” Io, terzo fratello ero esonerato dal servizio di leva. Il primo fratello, Orazio (Cicci), già da tempo aveva concluso il periodo di leva. Quindi, esonero sicuro per me. La legge fu sospesa pochi mesi prima che io ne potessi usufruire, per carenza di reclute. Che sfiga!!! Anch’io dovevo fare il militare. Questa legge dei tre fratelli, sospesa proprio quando ne potevo usufruire e poi reinserita pochi mesi dopo il mio congedo (il massimo della sfiga!), oggi, mentre sto scrivendo questo racconto, mi preoccupa non poco. Spiegherò il perché al momento opportuno. Per ora ricordate questo particolare.

Terminati gli studi universitari, anno 1971, feci la domanda per il concorso allievi ufficiali di complemento. Anche questo concorso segna un fatto particolare. Quattro giorni a Bologna, sottoposto a prove fisiche, culturali ed attitudinali. Esame finale: colloquio con un colonnello medico psicologo. Domande che mi apparivano strane, con risposta immediata (negli anni a seguire mi resi conto che fu l’esame più serio a cui sono stato sottoposto in tutti i miei concorsi). Al termine del colloquio mi venne da dire all’esaminatore che speravo di essere ammesso al corso ufficiali nonostante la diffusa convinzione che senza raccomandazione non c’era nulla da sperare. Ed aggiunsi: “mio fratello Franco ha fatto il corso ufficiali e io so per certo senza il ricorso ad alcuna raccomandazione". Il colonnello mi guardò con aria sorpresa e mi salutò dicendomi di stare tranquillo.

Il 7 aprile 1972 parto per la Scuola Truppe Meccanizzate e Corazzate di Caserta, 67° Corso AUC. Sei mesi di scuola, arma Cavalleria, assegnazione Leopard. Non sapevo dell’esistenza dell’arma di Cavalleria. Non sapevo in che cosa consisteva l’assegnazione Leopard. Ciò che mi importava è che ero riuscito ad essere ammesso al corso senza raccomandazione. Imparai presto che il Leopard era un carro armato di costruzione tedesca, di recentissimo acquisto da parte delle nostre forze armate e che io assieme ad altri undici allievi ufficiali, eravamo i primi ad essere addestrati per questo carro [APRI]. Imparai poi, in occasione di una cena riservata al ristretto numero degli allievi ufficiali Leopard, che l’arma della Cavalleria ed in particolare gli assegnati al Leopard erano i super-raccomandati. Come gioco fu proposto di dire in quell’occasione da chi eravamo stati raccomandati (certamente non lo proposi io!). Saltarono fuori nomi di politici e di sindacalisti fra i più noti. Arrivati al mio turno, trovandomi isolato nel non essere un super-raccomandato, pensai anche di fare il nome del politico più noto della zona forlivese. Ma optai per la verità. Feci la figura di quello che voleva apparire come il primo della classe. Mi sentii veramente in difficoltà ed in forte imbarazzo. Questa storia del non raccomandato arrivò all’orecchio di un altro allievo del mio corso. Con molto tatto un giorno mi prese da parte e mi disse che era impossibile che io fossi lì con loro senza raccomandazione in quanto suo padre, un ufficiale in servizio presso il Ministero della Difesa, aveva proprio il compito di smistare i raccomandati. Il mio incartamento gli era sicuramente passato per le mani con una nota di raccomandazione, anche delle più buone perché assegnato alla Cavalleria e ancor di più ai Leopard. Raccontai della mia certezza di non avere cercato ed avuto alcuna raccomandazione. Racconta e racconta, saltò fuori che chi mi aveva raccomandato era stato l’ufficiale medico psicologo di Bologna. Mi sentii sollevato. Anch’io avevo avuto la mia buona raccomandazione.

Terminati i sei mesi di corso a Caserta, fui assegnato ai “Lancieri di Novara” di Codroipo, vicino a Udine. Anche per questa assegnazione ci fu un piccolo giallo. Poiché agli esami di fine corso mi posizionai ai primi posti, fui inizialmente assegnato alla Scuola sottoufficiali di Lecce come istruttore. Lecce, ancora più distante da Forlì rispetto Caserta. Che “balle!?!”. La mia nomina tardava ad arrivare. Sapevo dei miei amici già in partenza per le rispettive destinazioni e io ancora in attesa. All’ultimo momento arrivò la nomina: assegnato ai “Lancieri di Novara”, la destinazione da me segnalata come preferita al termine del corso a Caserta. Venni a sapere, poi, che fui assegnato a Codroipo non per accontentare la mia richiesta, ma perché un compagno di corso, di Lecce, assegnato a Codroipo, riuscii con una tempestiva super-raccomandazione a far cambiare le destinazioni di entrambi. Lui a Lecce, dove abitava, io a Codroipo. A mia insaputa mi trovai nuovamente coinvolto in un’altra raccomandazione. Sentivo che il “destino”, la “lotteria” della vita mi stava favorendo. Felice come una pasqua, partii a bordo della mia cinquecento gialla, destinazione Codroipo [APRI].

Ma perché mi sposai durante il servizio militare? Durante i sei mesi di corso a Caserta, Marina di tanto in tanto veniva a trovarmi. Arrivava di sabato verso sera e ripartiva la domenica nel pomeriggio. Viaggio di andata e ritorno massacrante. Ricordi di notti favolose. Riuscivo sempre a farmi assegnare il permesso di dormire fuori caserma. Ero ben voluto dagli ufficiali del corso. Al termine del corso mi confidò che suo padre, il molisano, era contrario che la sua “bambina” (allora la “bambina” era prossima ai venticinque anni) mi venisse a trovare in questo modo. Il viaggio, la notte, ecc… Che cosa potevamo mai combinare! Lui impossibilitato al controllo ferreo a cui sottoponeva le figlie. Troppi pensieri. Che scandalo!?! Marina, stanca di discutere con il padre ogni volta che veniva a trovarmi, propose di sposarci, anche perché lei lavorava ed io, nel frattempo, avevo avuto un incarico d’insegnante di Matematica ed Osservazioni Scientifiche presso la Scuola Media di San Piero in Bagno. Assegnazione avuta in seguito alla presentazione della domanda fatta da Marina per conto mio, anche se allora non era mia intenzione intraprendere la “carriera” d’insegnante. Comunque decidemmo di sposarci per far tacere il babbo molisano. La cerimonia fu celebrata l’11 novembre (giorno in cui si festeggiano i “becchi”) del 1972 presso il Santuario della "Madonna delle Grazie" di Casticciano di Fratta Terme. Chi mai leggesse “Storia e storie della famiglia Raineri” capirà della scelta di questa chiesa.

I ricordi dell’esperienza militare sono tanti. E tutti piacevoli. L’incontro, appena arrivato a Caserta, con un ragazzo di Genova, Mario, diventato poi amico sempre più amico. Insieme in camerata a Caserta. Insieme in camera al reggimento a Codroipo. Fidanzato con una ragazza di mia conoscenza di Forlì che poi sposò, ha trascorso alcuni anni a Forlì fino a quando le loro strade non si sono separate. Allora era insegnante di Educazione Fisica. Oggi svolge tutt’altro lavoro e risiede in altra città. Lo chiamo il mio “angelo custode”. Ho sempre pensato che gli angeli custodi esistono. Ognuno di noi può essere stato o essere un angelo custode anche per uno sconosciuto. Il nostro, o i nostri angeli custodi sono quelle persone che sono state determinanti ed importanti in un momento difficile della nostra vita. Anche per un solo istante. Per un aiuto offertoci, per averci opportunamente consigliato e condotto a cambiare vita o a fare scelte poi rivelatesi importanti per la serenità della nostro futuro. Ho incontrato alcuni angeli nella mia vita. Uno anche di recente. Ma Mario è quello che in maniera più marcata mi è stato vicino e di aiuto in un momento difficile della mia vita. Senza forse rendersene conto mi guidò in un percorso che rivoluzionò, in bene, la mia vita. Il mio stato di benessere fisico e psichico. La mia salute. Oltre al benessere fisico mi portò a conoscere un mondo a me sconosciuto: quello della pratica sportiva amatoriale. Già ho scritto tutto ciò in altre pagine web delle sezioni LO SPORT e GLI AMICI del mio sito..

Già con il brillante percorso universitario avevo acquisito sicurezza in me stesso e fiducia nelle mie capacità e potenzialità. Con il servizio militare questo convincimento si fece più forte. Innanzitutto mi permise di conoscermi in una realtà completamente nuova: la lontananza da Marina e da casa per molti mesi, era la prima volta che mi trovavo costretto a questo distacco, poi il confronto con gli altri allievi ufficiali e al reggimento il rapporto con i soldati e con i superiori. Furono quindici mesi di riconoscimenti di stima e fiducia nei miei confronti da parte di tutti, soprattutto da parte dei soldati. Mi affezionai talmente a loro che decisi di trascorrere l’ultimo dell’anno (il 1972, già sposato) con loro in caserma. In quell’occasione Marina mi raggiunse a Codroipo e si unì al folto gruppo, unica donna. Non fece nulla nel farmi desistere da quella decisione. Già conosceva bene i miei sentimenti.

Questa esperienza consacrò in maniera definitiva l’autostima (nella maniera più pura e positiva, non ambiziosa). Ricordo il giorno del mio congedo, il 6 luglio 1973. Giorno di festa sicuramente. Tornavo a casa dove avrei iniziato la mia vita coniugale con Marina in maniera completa. Piansi per tutto il percorso da Codroipo a Forlì, alla guida della mia cinquecento gialla. I calorosi e sinceri saluti di addio dei “miei” soldati e di tutti i miei superiori mi avevano commosso come mai avrei pensato. Un'esperienza di vita, piccola parte della mia vita, si era conclusa. E sentivo che questa esperienza mi aveva arricchito tanto. Mi conoscevo meglio.

Il 7 di luglio 1973 entrai a far parte di quella grande famiglia dei dipendenti dello Stato. Nei ranghi della Scuola italiana. Avevo avuto l’incarico per l’insegnamento di Matematica ed Osservazioni scientifiche presso la Scuola Media di San Piero in Bagno nell’ottobre del ’72. Poiché impegnato nel servizio militare nominarono un supplente che decadde al mio congedo. Ricordo il mio primo stipendio da insegnante: circa 145.000 lire (comunque iniziai già in ferie perché estate). Il mio ultimo stipendio da ufficiale di complemento si aggirava sulle 175.000 lire. Che salto di carriera!?!

Il rientro a Bologna come borsista al momento non era possibile. Mi fu offerta la possibilità di concorrere per una borsa di studio presso la nuova facoltà di Scienze geologiche (chiamata di “Scienze della Terra”) presso l’Università di Urbino. Riuscii ad entrare. Mi trovavo con due incarichi, entrambi statali. O uno o l’atro, era ciò che prevedeva la legge. Non potevo scegliere l’Università e trasferirmi ad Urbino o Pesaro come richiestomi per le precarie condizioni economiche (la borsa di studio prevedeva uno stipendio di circa 120.000 lire). Decisi nella più totale incoscienza di portare avanti entrambi gli incarichi. Al mattino a Modigliana (durante l’estate 1973 fui trasferito dalla Scuola Media di San Piero in Bagno a quella di Modigliana). Alcuni pomeriggi e tutto il mio giorno libero dall’insegnamento mi recavo a Urbino. Con la mia nuova auto, una 127 Fiat, viaggiavo mattina e sera da Forlì-Modigliana-Forlì-Urbino-Forlì. Dall'ottobre 1974, con il trasferimento della cattedra in una Scuola Media di Forlì, il percorso si ridusse di non poco. Comunque continuavo a girare da Forlì a Urbino. Nell’estate del 1975, in seguito ad una indagine fatta dall’Università di Urbino, saltò fuori la mia illegalità. Dovevo scegliere. La ricerca assegnatami era ad un punto che non poteva essere lasciata. Il Preside di facoltà, pur di non perdere un borsista, la ricerca in corso e forse anche per stima e fiducia in me (manifestatemi apertamente due anni oltre), riuscì a trasformare il mio incarico da statale a privato, sovvenzionato dalla Provincia di Pesaro-Urbino. Ciò fu possibile perché l’Università di Urbino allora era privata. Altri due anni di girovagare tra Forlì ed Urbino. Nel 1975 dalla Scuola Media passai alle superiori per l’insegnamento di Scienze Naturali Chimica e Geografia.

La stanchezza incominciava a farsi sentire. L’amore per l’insegnamento cresceva sempre più in me. La possibilità di optare prima o poi per la carriera universitaria stava sfumando. Se non si avevano, economicamente parlando, le spalle coperte, la carriera universitaria era (forse lo è ancora) preclusa a chi come me le spalle non le aveva coperte neanche dalla più misera canottiera. Al termine dei quattro anni presso l’Università di Urbino, siamo nell’ottobre del 1977, fui chiamato ad una scelta definitiva. In occasione di un congresso di geologia a Perugia, dove mi recai con Marina, comunicai la decisione di lasciare l’Università al preside di facoltà. Ricordo ancora il suo tentativo dal farmi desistere da tale decisione e l’invito ad intercedere rivolto a Marina proprio in quell’occasione. Terminò così anche l’esperienza universitaria di borsista.

Per quanto riguarda il mio procedere nell’ambito del mio incarico di insegnante rimando a “I miei 31 anni d’insegnamento”.

Lasciato l’incarico a Urbino venni contattato da un amico di Forlì che da pochi anni aveva avviato uno studio di geologia tecnica. Mi offrì di collaborare con lui. Anche a questo amico devo tanto per la fiducia e la stima dimostratemi nel periodo della collaborazione. La scuola sempre più dentro di me. La mia insofferenza nel lavoro della libera professione. La mia avversione per i rapporti con Enti e Comuni per avere incarichi di lavoro mi portarono ad accettare l’invito rivoltomi dal mio fratello più grande (di undici anni), Orazio (Cicci), ad avviare in Forlì una fabbrica per la produzione di prodotti per l’edilizia (premiscelati a base cemento, inerti ed additivi). Siamo attorno al 1980. Non conoscevo nulla in proposito per essermi sempre interessato ad altre cose. Però la proposta mi allettava non poco. Mi informai e documentai: si poteva fare. Accettai con molta ansia perché il fratello si impegnava con i finanziamenti necessari. Non pochi. A me i compiti di formulazione, rapporto con i fornitori, anche di inserimento prodotti e altro. Tutto fu avviato. Io entusiasta come mai. Gli inizi per gente nuova del mestiere erano prevedibilmente difficili. Occorreva pazienza e fiducia. Mi sentivo tutta la responsabilità addosso. Ero sicuro di farcela nonostante fosse un campo fino a poco tempo addietro a me sconosciuto. Non mi dilungo. Dopo un inizio promettente sotto l’aspetto della buona armonia, iniziarono tempi difficili. Incoraggiato ed elogiato per ciò che stavo realizzando da chi del mestiere era a conoscenza, cominciavo ad essere accusato di ogni cosa proprio dal fratello. Si aspettava un rapido inserimento nel mercato dei prodotti. Ma ciò richiedeva tempo. E le prospettive erano buone. Sentivo che l’ira del fratello non era tutta farina del suo sacco. Altra persona troppo influente lo stava aizzando contro di me colpevolizzandomi di ogni cosa. Fui costretto a lasciare, spinto in tale decisione soprattutto da persone non della famiglia che dimostravano di sapere quanto odio c’era nei miei confronti, dimostrandomi anche la loro totale solidarietà. Uscii da questa avventura con tanto dolore. Un progetto che mi vedeva impegnato in prima persona, di cui sentivo tutte le responsabilità, colpevolizzato di ogni sorta di cose, di errori commessi, di incapacità e, soprattutto l’inevitabile totale rottura con un fratello. E’ stata l’esperienza più dolorosa e triste della mia vita (stavo subendo il detto: "I parenti sono come le scarpe. Più sono strette/i più fanno male). Su questa attività avevo investito tutte le mie speranze per una vita futura migliore (oggi ho un altro concetto di “vita migliore”. Allora l’intendevo legata alle disponibilità economiche. Oggi l’intendo in modo totalmente diverso tanto da ringraziare il “destino” di aver fatto andare le cose così come sono andate). In questa attività partecipava anche Marina. Ci trovammo sbattuti fuori entrambi senza alcun riconoscimento. Io con il solo stipendio della scuola, che comunque continuava a darmi tante soddisfazioni e piacere nello svolgere il mestiere d’insegnante. Un fornitore di additivi chimici di una famosa industria chimica tedesca, nel frattempo divenuto amico, che nutriva tanta stima in me e che mi convinse d’interrompere il rapporto di lavoro con il fratello per la preoccupante situazione che si era venuta a creare nei miei confronti, mi offrì di collaborare con l’industria chimica che rappresentava. Questa collaborazione si protrasse per alcuni anni. Tanto devo anche a questo amico, Mauro, un altro “angelo custode” della mia vita. Comunque mi trovai in un difficile e preoccupante momento della mia vita. Moglie e due figli a carico con il solo stipendio della scuola e qualcosa in più dalla industria chimica tedesca.

Si chiude una porta e Dio te ne apre un’altra”. Poco tempo dopo Marina fu assunta alle Poste italiane in seguito a concorso: "con due stipendi, anche se statali (il ché è tutto un dire) ce la possiamo fare, soprattutto perché non siamo spinti da manie di grandezze ed ambizioni di alcun genere". La vita cominciava a riapparire più rosea. Presi la decisione di non volerne più sapere di un altro lavoro da abbinare all’insegnamento. Decisi di dedicare anima e corpo alla sola scuola.

In questo momento difficile, ci fu l’intervento di un altro “angelo custode”, Mario, di cui ho già parlato a proposito del militare. Il mese di aprile del 1985 segna l’inizio della mia seconda vita. Tutto questo avvenne all’età di trentanove anni (rimando a: Mario). Tutto quello che seguii lo devo a Mario.

Il tempo appariva più sereno. I figli crescevano bene. A Marina piaceva il suo lavoro. Io che continuavo con i miei entusiasmi e a divertirmi a scuola e in tutte le attività sportive avviate per merito di Mario: podismo fino ad arrivare alle maratone e alle cento chilometri del passatore; la bicicletta da corsa fino ad arrivare alle Gran fondo (Lo sport). Questa mia seconda vita era proprio spensierata e scorrevole nel godimento delle cose belle che facevo.

A proposito di entusiasmi e della scuola di questi anni, degli anni novanta, in “I miei 31 d’insegnamento” non ho ricordato le esperienze più belle ed indimenticabili organizzate con una collega, poi amica, ancora oggi amica, Anna Maria. Gli scambi culturali con scuole di Fort Collins (Colorado) negli anni 1991 e 1997 e lo scambio culturale con una scuola di Toronto (Canada) nel 1995. A questo ultimo scambio partecipò anche Marina perché suo zio Ted, italo-canadese e residente a Toronto, si interessò affinché si raggiungessero gli accordi per lo scambio di studenti. Tanti ricordi e grandi esperienze in realtà ambientali e culturali totalmente diverse dalle nostre. I viaggi in aereo. A questa collega devo molto. Forse è stata un altro mio “angelo custode”. Senza di Lei non avrei fatto le esperienze di scambi che ho fatto. Si è impegnata anche per insegnarmi l’inglese. Ma temo di averla delusa. Anzi ne sono certo. E questo mi è dispiaciuto moltissimo. Abbiamo lavorato assieme sedici anni in una scuola a cui abbiamo dato tanto perché credevamo in quello che facevamo. Abbiamo gioito per i successi. Abbiamo poi sofferto per le delusioni. Ora Lei insegna in un altro Istituto Tecnico della città. La vedo triste. Insoddisfatta di ciò che fa e soprattutto di ciò che ottiene. Lei troppo brava e sprecata per ragazzi disinteressati e per una scuola (in generale) troppo superficiale. Lei troppo determinata a raggiungere gli obiettivi didattici che si prefigge. Lei insegnante speciale in una massa di insegnanti molti dei quali mediocri, alcuni anche vergognosamente immeritevoli di fare questo lavoro. A Lei auguro un futuro sereno e che possa ritrovare le soddisfazioni che già ha avuto negli anni passati, i riconoscimenti e l’amore che tanti alunni del passato le hanno sempre dimostrato e tuttora le dimostrano. Deve tornare ad essere la più amata da tutti i suoi studenti. Con piacere ricordo il pellegrinaggio di sue ex alunne ed alunni a scuola solo per salutare Lei. Se mai Anna arriverà a leggere questo mio racconto spero che le faccia piacere trovarsi fra le persone a me più care e qui ricordate. Tanti auguri Anna!

In occasione dello scambio culturale con la C.S.U (Colorado State University) di Fort Collins (Colorado), iniziata nell'estate 1990 con la presenza degli studenti americani a Forlì e conclusasi con la presenza di un gruppo di nostri studenti a Fort Collins per tutto ll mese di agosto 1991, è iniziata una bella favola con una ragazza di Boston facente parte del gruppo degli studenti della C.S.U. E' una favola che continua tuttora. Anche questa ragazza si chiama Anna e la favola l'ho raccontata in questa pagina web: "Anne".

Ma la spensieratezza e la serenità non possono durare a lungo. Il rapporto chiuso con il fratello si protrasse per molti anni, fino a quando ricevetti una triste telefonata da parte di Delia, la sorella più grande, che mi informava che Cicci aveva pochi mesi da vivere. Siamo ai primi del 1996. Il mondo mi cade addosso. Ricordi e rimorsi, rimorsi e ricordi. L’intervento di Delia per un riavvicinamento organizzato ed avvenuto poi a casa sua. Le visite all’ospedale e poi,… il 1 maggio del 1996 Cicci ci lascia per altra destinazione.

Continuano a passare gli anni. I figli (ne parlerò fra poco) terminano gli studi superiori. Per me si avvicina il tempo in cui posso prendere una decisione importante: quella del collocamento a riposo. Non mi sento ancora pronto per questo passo importante della vita. Mio fratello Franco mi fa riflettere sui vantaggi del pensionamento. Lui già in pensione. Gennaio 2003: devo decidermi sul cosa fare. Decido per il passaggio alla pensione. “Ma sì, Franco ha ragione!”. “Ormai nella scuola sono più le delusioni e sofferenze che le soddisfazioni”. Si avvicina la fine della scuola. Per il 6 di giugno, ore 11.00 i colleghi hanno organizzato la festa di addio per quelli che stanno per andare in pensione. Tutto è pronto. Iniziano i festeggiamenti. Ore 11.05 un “bidello” mi chiama. Mi cercano al telefono: “corri al pronto soccorso, Franco si è sentito male mentre giocava a tennis”. La voce non tradiva alcun dubbio. Rimando a: “Lettera ad un fratello improvvisamente scomparso”.

Capite ora del mio andare in collera quando mi viene detto: “…beato te che hai i genitori longevi. Chissà quanto vivrai!?!”

Sono ormai arrivato al termine del racconto della mia vita. Siamo ai giorni nostri. Sono in pensione da più di un anno. Rimando a: “Le stagioni della vita … e il tempo della pensione”. E’ il mio elogio alla pensione.

Prima di chiudere questo racconto voglio ricordare i miei figli: Carlo, trenta anni e Luca, ventisei anni. So di essere un padre fortunato. Sono ragazzi seri. Non mi hanno fatto patire nella loro adolescenza con richieste di “motorini” (allora senza casco obbligatorio), con la preoccupazione del fumo (io e Marina non fumiamo) e soprattutto con l’incubo comune a tutti i genitori del fumare e prendere cose più pesanti. Carlo è stato amante della notte. Forse l’ama ancora. Gli piaceva la discoteca. Spesso la domenica rientrava a casa quando io ero già in cucina a fare colazione (devo comunque dire che sono abituato a svegliarmi ed alzarmi dal letto molto presto al mattino: circa alle 5.00, spesso anche prima). Luca ha avuto ed ha una vita più tranquilla. A differenza di me ha spiccate doti musicali. Grande orecchio per la musica. Dopo il diploma non hanno voluto proseguire con gli studi universitari. Poco importa. Marina ed io non abbiamo l’ambizione del figlio “laureato”. Mi auguro solo che siano contenti delle scelte che hanno fatto e che possano esserlo anche nel futuro. Vorrei che ricevessero dalle loro compagne della vita l’amore che io ho ricevuto e continuo a ricevere da Marina, la loro mamma. Però non c’è nulla da fare. Non riesco a scrollarmi d’addosso la preoccupazione per la famiglia, per i figli in particolare. Per rilassarmi da questa preoccupazione leggo, di tanto in tanto, quella stupenda poesia di Kahlil Gibran: “I figli”.

Vorrei che leggessero anche loro “La ragazza delle arance” e rispondessero alla domanda che Jan Olav pone al figlio Georg. Vorrei sapere la loro risposta.

In queste pagine web ho riportato alcune foto ricordo dei miei figli e non solo: "La mia famiglia" e "Album di famiglia"

A proposito. Ricordate la “legge del terzo fratello?”. Quella relativa alla chiamata al servizio di leva? Se due fratelli hanno fatto il servizio militare, il terzo ne è esonerato. Legge sospesa prima che io ne potessi usufruire, e poi rivalutata al termine del mio servizio militare. Ebbene, in questi giorni mi capita di pensare a questa legge di allora (da pochi giorni è stato abolito il servizio di leva obbligatorio anche in Italia). Sembra una delle tante leggi che regolano questo grande gioco che è la vita, o come intendo io questa grande lotteria, o come intende Gaarder “un’unica grande favola che nessuno sa cos’è”.

Il 3 di luglio 2006, quindi data ormai prossima, compirò sessanta anni. I miei due fratelli sono stati sorteggiati per uscire da questo gioco della vita quando avevano poco più di sessanta anni. Questa legge farà parte delle tante leggi che regolano questa vita? Sarà stata abolita, o sospesa come quella “dei tre fratelli”? Il futuro è mistero.

Non temo la morte. E’ da sciocchi perché la morte fa parte della vita. E’ l’ultimo atto della vita. Forse con la morte verrà svelato il segreto della vita. Io ne sono convinto. O almeno lo spero! Temo la morte sul come si presenterà. Un fratello ha sofferto per mesi. L’altro non è riuscito ad avvertire nulla perché la morte lo ha portato via in una frazione di secondo. Comunque troppo presto e nel momento in cui iniziavano a godersi la vita. Anch’io ho iniziato a godermi la vita da poco e sono prossimo a sessanta anni. Il futuro è mistero! Comunque avverto un po’ di “strizza”.

Forlì: 17 dicembre 2004 (che sfiga! E' anche venerdì.)

Bruno Raineri

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Io e Marina
Marina e io


Dal 19 settembre 2007 sono diventato nonno di un adorabile bambino di nome Mattia, figlio di Carlo e Isabella. Dall'agosto, un mese prima della sua nascita, ho iniziato scrivere un diario dedicato solo a noi due che intendo portarlo avanti fino a quando il Buon Padre me lo consentirà. Sia questo "RACONTO E RICORDI DELLA MIA VITA" che "IL MIO DIARIO CON TE" intendo donarli a Mattia al compimento del suo 18° compleanno.
Se la mia "storia terrena" terminerà prima del compimento del 18° compleanno di Mattia, uno dei miei figli avrà cura di consegnare a Mattia un hard disk che contiene il tutto, oltre tante altre cose, in occasione della sua maggiore età. Un amorevole pensiero a te adorabile Mattia. Ciao!!!


19 settembre 2015: il giorno del tuo 8° compleanno.
Il nonno Bruno nel pieno delle sue facoltà mentali...che sono state sempre limitate. Tanto per scherzare!!!


2 novembre 2019 ...breve aggiornamento sulle nascite di Aisha e Diego...

Dal 28 dicembre 2016 sono diventato nonno per la seconda volta di una bimba tanto attesa, Aisha, nata dal secondo matrimonio di Carlo con Sofia e residenti a Hong Kong.

Il 28 giugno 2019 nonno per la terza volta, Diego, da Luca e Lucia residenti a Fiumana.
Anche ad Aisha e Diego intendo lasciare un diario di ricordi del nonno .... fino a quando potrò ... !!!